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giovedì 30 agosto 2012

Se ho avuto paura? Eccome…

“Se ho avuto paura? Eccome…ma l’ho esasperata al punto da scordarmi d’averla”.
Siamo partiti in 20, 16 ragazzi e 4 capi noi del “Clan-Destino” del gruppo scout AGESCI Guspini 1 e il Noviziato “La Fenice” del Mogoro 1 alla volta di Roma per la consueta route estiva sopportando sulle spalle uno zaino il cui peso spaventava non poco. A ripensarli adesso tuttavia quei chili di troppo non sono risultati neanche lontanamente paragonabili alla consistenza e al senso del tema della route e alle attività e agli incontri organizzati dai capi; a partire dall’appassionato e accanito discorso di una delle tante figure incontrate sul cammino: il Capitano Ultimo, il famoso Capitano dei Carabinieri artefice dell'operazione di cattura e dell’arresto di Totò Riina nel gennaio 1993. E proprio sul tema della paura era incentrata la riflessione che avremo affrontato quella settimana d’agosto attraverso molteplici punti di vista quali la paura di partire, di scegliere, di avere coraggio, della morte, della responsabilità, dell'impegno e delle proprie potenzialità. “La paura non è nulla in confronto alle nostre possibilità, dice Ultimo, alla nostra forza di lottare e perseguire il nobile obiettivo di servire il prossimo, il meno fortunato, in definitiva l’Ultimo: non vi è maggiore onore di incarnare il ruolo di servo, e servire unicamente per servire”. il Capitano pareva quasi stesse anticipando,, al principio di un “sudato” cammino, ogni nostro singolo pensiero, ma con l’incentivo, per nulla indifferente, della carica e della convinzione che possiede solo colui che crede in quel che dice e lo attua coerentemente e con passione.
E se per caso queste incisive parole non fossero bastate stimolare la route (il che è difficile a credersi), sarebbe presto giunta una marea di nuove esperienze e nuovi testimoni di vita ad appesantire lo zaino per il ritorno. Tra di essi, il servizio che abbiamo svolto presso la mensa dei poveri alla Comunità Sant’Egidio. Non sarebbe stato facile, ma non vi era nulla di meglio per toccare con mano ciò di cui Ultimo parlava: uomini, donne, bambini, di tutte le età e parti del mondo accomunati dalla terribile necessità, più o meno evidente, di mettere qualcosa sotto i denti. Vi erano lo scontroso e il presuntuoso, resi nervosi dalla fame, ma anche chi sinceramente ringraziava, con gli occhi sorridenti, con sconnesse frasi tra l’italiano, il rumeno e l’inglese o semplicemente con una leggera pacca sulle spalle. Una manciata di ore per colmare di significato l’intera giornata, per far inchinare il più forte al cospetto del più debole, tutto secondo l’annunciata profezia del Capitano.
No, non era sufficiente: serviva ancora qualcosa per far fermentare le nostre “fresche menti” durante le consuete attività. L’ex Capo Clan del Roma 90, Paolo, non ha disdegnato di ricoprire un ruolo particolarmente interessante e decisamente inserito entro il nome dell’associazione: si tratta della C di AGESCI e sta per Cattolici. Si tratta di un uomo che, nonostante la sua vita piena di impegni e di soddisfazioni presa consapevolezza di un vuoto in se stesso, ha preso la non facile decisione di abbracciare il diaconato e abbandonare (si fa per dire) l’universo scout. Con lui abbiamo discusso sulla distanza odierna tra ragazzi e fede, o forse Chiesa, cercato di rendere evidenti altri messaggi che magari, durante la lettura di un brano biblico, possono apparire inaccessibili e astrusi. Tutto ciò attraverso un lungo dialogo ma anche tramite attività che rendono concretamente manifesto quel fenomeno di tutti i giorni e di tutti gli uomini, comunemente noto come “scelta”: dalla più banale, come decidere se fare pasta o minestra per cena, alle più difficili, come l’abbandono incerto delle proprie radici pur di inseguire grandi sogni lontano da casa.
Abbiamo riflettuto su ognuno di questi pensieri portanti come ciascuna delle colonne del Bernini, abbiamo marciato, incontrato difficoltà e stanchezza ogni giorno per sette giorni, attraverso la via Francigena e le più battute strade della Capitale. Abbiamo interrotto il passo in Piazza S. Pietro, meta dei pellegrini che hanno intrapreso quel duro percorso reso insopportabile dal caldo martellante ma privo di stanchezza dinnanzi all’abbraccio del colonnato.
Proprio allora, all’interno del simbolo di fusione tra alti valori e una terra che sembra non voler dare loro asilo, i passi che si sono lasciati indietro sono tornati a farsi sentire per accrescere un patrimonio di consapevolezze entro il quale non c’è posto per la paura ma solo per la necessità di andare avanti e non sedersi di fronte alle insormontabili difficoltà della vita. È lo spirito adatto per procedere serenamente e approdare in porti sconosciuti ma al contempo affascinanti.
Filo conduttore della settimana di strada e dei personaggi incontrati è stato, manco a dirlo, Gesù. Lo abbiamo sentito dalle parole del Capitano Ultimo che lo considera il suo riferimento nella vita; lo abbiamo scoperto alla comunità Sant'Egidio nata da un gruppo di liceali che si incontravano per la lettura del Vangelo, lo abbiamo individuato nella scelta del capo scout di Roma che vuole continuare a servire il prossimo attraverso il diaconato . Ma soprattutto lo abbiamo scoperto con noi e tra di noi nelle strade impolverate dei colli Laziali, nelle persone incontrate, nelle esperienze che ci hanno arricchito, anche lontano dai tabernacoli e dal luccichio abbagliante delle chiese profumate di incenso ma desolatamente vuote di una straordinaria normalissima torrida prima settimana di Agosto.

Marco Saderi e Giuseppe Liscia

giovedì 9 agosto 2012

GRANDE ROUTE ESTIVA 2012

Grazie Capitano Ultimo...
« Mi sono chiamato ultimo quando ho capito che tutti volevano essere primi, volevano fare bella figura, volevano vincere, volevano farsi belli con i capi, volevano fare carriera con la K, e siccome a me non me ne frega proprio niente, dico a me ma anche a tanti altri carabinieri, il nostro onore e la nostra gloria maggiore è lavorare per la gente povera e basta, e nel momento in cui lo facciamo perché vogliamo qualcosa in cambio siamo porci traditori. Mio padre comandava la stazione dei Carabinieri in un piccolissimo paese della Toscana... la domenica ci portava me, mia sorella e mia mamma, in un podere vicino in campagna, dove passavamo il tempo con una famiglia che aveva una figlia sordo-muta, e io non capivo che in quel momento quella era la legalità, e non capivo perché lui ci portava lì, e poi l'ho capito, ci portava lì perché era quella l'umanità per cui valeva la pena combattere, la bandiera, LA PATRIA. E tu poi per quella gente combatti, perché non hai più limiti, ti identifichi in loro, quindi diventi carabiniere perché vuoi difendere quella gente lì. Porto il guanto dei mendicanti, dei lavavetri che sono nostri fratelli, e così non mi dimentico di essere anche io mendicante, l'ingiustizia che fanno quando umiliano i "vu cumbrà" o il lavavetri al semaforo, umiliano anche te e me e dunque non deve accadere, la devi vivere come un'ingiustizia fatta a te, ecco allora sei un carabiniere, se no sei un professionista mercenario, la lotta è del popolo e deve rimanere al popolo...»



"Signore, insegnaci a pregare"
La preghiera è il cuore della vita della Comunità di Sant'Egidio ed è la sua prima opera. Al termine del giorno, ogni Comunità di Sant'Egidio, piccola o grande che sia, si raccoglie attorno al Signore per ascoltare la sua Parola. Dall'ascolto della Parola di Dio e dalla preghiera, infatti, scaturisce l'intera vita della Comunità. I discepoli non possono fare a meno di stare ai piedi di Gesù, come fece Maria di Betania, per ricevere da lui il suo amore e apprendere da lui i suoi stessi sentimenti (Fil 2,5).
Ogni sera, perciò, la Comunità tornando ai piedi del Signore fa propria la domanda dell'anonimo discepolo: "Signore, insegnaci a pregare!" E Gesù, maestro di preghiera, continua a rispondere: "Quando pregate, dite così: Abbà, Padre". Non è una semplice esortazione. E' molto di più. Con queste parole Gesù rende partecipi i discepoli del suo stesso rapporto con il Padre. Nella preghiera, perciò, prima ancora delle parole viene l'essere figli del Padre che sta nei cieli. E pregare quindi è anzitutto un modo di essere: ossia figli che si rivolgono con fiducia al Padre, certi che li ascolterà.
Gesù insegna a chiamare Dio: "Padre nostro", e non semplicemente "Padre" o "Padre mio". Il discepolo anche quando prega personalmente, non è mai isolato od orfano; è sempre membro della famiglia del Signore. Nella preghiera comune appare con chiarezza oltre al mistero della figliolanza anche quello della fraternità. Dicevano gli antichi Padri: "Non si può avere Dio per Padre se non si ha la Chiesa per madre". Nella preghiera comune lo Spirito Santo raccoglie i discepoli nella "sala al piano superiore", assieme a Maria, madre del Signore, perché rivolgano il loro sguardo verso il volto del Signore e apprendano da lui il suo cuore.
 Le Comunità di Sant'Egidio, sparse nel mondo, si raccolgono nei vari luoghi della preghiera e presentano al Signore le speranze e i dolori delle "folle stanche e sfinite" (Mt 9,37) di cui parla il Vangelo. In quelle folle antiche sono presenti quelle sterminate delle città contemporanee, i milioni di profughi che continuano ad abbandonare le loro terre, i poveri messi ai margini della vita e tutti coloro che aspettano qualcuno che si prenda cura di loro. La preghiera comune raccoglie il grido, l'invocazione, l'aspirazione, il desiderio di pace, di guarigione e di salvezza che hanno gli uomini e le donne di questo mondo. Mai la preghiera è vuota. Essa sale incessante al Signore perché l'angoscia sia trasformata in speranza, il pianto in gioia, la disperazione in letizia, la solitudine in comunione. E il regno di Dio venga presto in mezzo agli uomini.
... per la seconda volta dopo
quella in cui li alla comunità ho visto la foto del pranzo di Natale ho
pensato alla vera Chiesa, questa, che mette in pratica ciò che predica
con dei gesti bellissimi..
GRAZIE